Li chiamano giochi, ma si dovrebbe evitare di chiamarli così. In realtà, si tratta di pratiche letali. Molti ragazzini credono di giocare, ma i social game killer non sono giochi, sono trappole virtuali che stanno diventando ogni giorno sempre più pericolose.
Le notizie degli ultimi tempi, di giovanissimi che praticano questi “giochi del suicidio” e dell’emulazione, aggiungono sconcerto e senso di “impotenza sociale” a questo periodo di pandemia in cui vige già tanto disorientamento.
Qualche anno fa si chiamavano “Blue Whale”, oggi “Black out”: diversi nomi per indicare una folle sfida mascherata da gioco.
La parola gioco, (dal latino scherzo, burla) rimanda a gioiosa serenità, a divertimento, ma qui non c’è né da ridere né da divertirsi.
È forse un gioco, la compressione della carotide fino al soffocamento - come nella triste vicenda accaduta pochi giorni fa a Palermo - della bambina di soli dieci anni? No, non è un gioco, ma una trappola in cui si “diverte” soltanto il perverso inventore di queste sfide.
Purtroppo, nel mondo i casi si ripetono e si è abbassata l’età media rispetto a qualche anno fa, quando in queste trappole cadevano adolescenti di 13-14 anni.
Non è facile commentare questi fatti di cronaca. Forse è più utile riflettere sul terreno che rende possibile tali incidenti: i social, e l’uso di questi, un fatto che riguarda giovani e adulti.
Durante l’adolescenza e la pre adolescenza, i ragazzini sono più vulnerabili. A questa età, a livello anatomico, non si è ancora maturi; il sistema limbico, sede delle emozioni e degli istinti, non è completamente sviluppato. É per questo che i ragazzi sotto i 14 anni sono più impulsivi, non temono e non pensano alla morte e non hanno consapevolezza del pericolo.
Di tutto questo periodo di pandemia e vicende legate al Covid i giovani rappresentano i grandi “dimenticati”, e forse, più di altre categorie, soffrono per la mancanza di socialità. Essi sono i protagonisti passivi, e si sono visti addossare il ruolo di “untori dei nonni”, da segregare in casa per mesi.
Da una parte ci sono i ragazzi annoiati, che tante mamme e papà vedono demotivati in questo periodo di restrizioni; bambini e adolescenti che in alcuni casi restano in pigiama per giorni, buttati sul divano, senza neppure la voglia di fare una doccia rinfrescante.
Sono i giovani che “solo” un anno fa facevano sport, sudavano, urlavano, si sfogavano e che per ora, reprimono le loro pulsioni e le loro prime tempeste ormonali.
Dall’altra parte c’è la rete, il web e i social che paradossalmente connettono al mondo talvolta distaccandoci da noi stessi – che offrono ai ragazzi un diversivo, un facile e veloce rimedio - illusorio - alla noia.
Ma, come abbiamo potuto constatare, tutto ciò non è gratis.
Stiamo pagando e pagheremo un prezzo.
I social hanno un forte potenziale. Ne siamo tutti catturati.
C’è da dire che queste pericolose challenge, (“sfida”), a cui i ragazzi aderiscono non nascono con i social, infatti, tra ragazzini e non solo, si sono sempre svolte gare e prove di coraggio anche pericolose, come le gare di tuffi pericolosi o altre attività.
La competizione fa parte della natura dell’uomo. Si compete per vincere, per raggiungere un obiettivo.
TikTok infatti, il social più imputato, si difende dicendo di non consentire contenuti che diano vita o incoraggino, comportamenti dannosi.
Non bisogna condannare la sana competizione, quella che fa da motivazione nella vita di un giovane e di un adulto.
Siamo tutti dentro un reality che richiede performance da ammirare, da far girare nei social, può trattarsi di una gara di cucina, di bellezza, di ballo o altro.
Il problema è che in alcune insane sfide in rete, si diventa rivali di se stessi e purtroppo, vince chi non ce la fa.
Cosa pensa di vincere un bambino di dieci anni? Voti, like o follower e forse un po’ di visibilità.
Dopo tutto, “Essere seguiti” - in gergo istagram - fa figo!
É un po’ come nelle vecchie comitive, quando il più simpatico era il ragazzo più seguito o la ragazza più ricercata!
I social ci permettono di essere protagonisti e di avere palchi e platee.
Anche un bambino introverso può sentirsi riconosciuto e importante quando “fa una storia” o posta un video.
Spesso, i minori cambiano la propria data di nascita per iscriversi ai diversi social, anche ad insaputa dei genitori. E’ tutto troppo facile.
I genitori, dovrebbero sapere e partecipare alla vita virtuale dei figli sia “da dentro che da fuori” e nel momento in cui regalano un computer o uno smart phon al minore, dovrebbero sincerarsi dell’uso che il figlio ne fa e soprattutto conoscere tutte le varie app e contenuti a suo utilizzo; soprattutto, dovrebbero assicurarsi che tali contenuti siano visibili solo a persone che realmente il bambino conosce nella vita reale.
Riflettiamo sull’utilizzo dei social e del cellulare; occorre un uso consapevole e oculato di questi strumenti che hanno anche tante potenzialità.
Per i genitori, soprattutto in questo periodo non è facile dire di no, ma abbiamo purtroppo potuto constatare che anche un telefono può diventare “un’arma” se utilizzato non responsabilmente.
I giovani hanno un falso senso di sicurezza nel web, dovuto alla loro giovane età, sono abilissimi con le nuove tecnologie che destreggiano facilmente, ma, a differenza degli adulti non sono altrettanto bravi a riconoscere cosa può essere nocivo o distruttivo per loro.
Gli adulti, credono che avere in casa i figli significhi tenerli vicini, sotto gli occhi e sempre sotto controllo, ma in realtà, in rete, i giovani possono essere paradossalmente soli e lontani, e navigare in un territorio pieno di trappole.
Non dobbiamo giudicare nessuno, la società, noi adulti.
Purtroppo, il momento storico sta mettendo a dura prova la serenità e la capacità di attenzione di tutti e molte famiglie stanno implodendo.
Anche a noi adulti vengono richiesti comportamenti che non riconosciamo nostri e spesso i social possono regalarci l’illusione di evadere un po’ con la mente.
Non demonizziamo i social, perché in pandemia sono stati e continuano ad essere l’unico mezzo che permette a molti di noi di poter lavorare e ai ragazzi di studiare e socializzare. Tanti bambini hanno organizzato pigiama party virtuali, feste e sane sfide.
Abbiamo un ruolo difficile noi adulti, educatori o genitori, quello di non abbassare la guardia con i più giovani, pur essendo noi stessi molto stanchi e provati.
Ma è anche il momento di fermarsi, invertire la rotta, rallentare e disconnetterci anche noi un po’ dai social.
Non dimentichiamo il buon esempio.
Silvia Mendico
Psicologa – Sociologa